lunedì 13 febbraio 2012

Fuori dall'aula.

Ci sono diverse punizioni che si possono assegnare ai bambini. Se puniscono e basta non hanno senso. Devono essere chiare e motivate; meglio se inerenti alla "colpa"; una specie di contrappasso. Come nel gioco, alcuni sport lo prevedono: se giochi scorretto ti siedi in panchina qualche minuto. Questo in palestra è pane quotidiano, specialmente giocando a calcio o a rincorrersi. Superare il lecito nel gioco ti fa uscire dal gioco. In base alla gravità del fatto si modula la gravità della pena: se una cosa da poco e evidente, allora pena breve, se una cosa ripetuta e magari tendente al grave ci si ferma e si parla insieme di quello che è successo. Si cerca di capire dove è stato superato il limite, di quanto, quali le possibili conseguenze (non divertirsi, farsi del male), alla fine del discorso condiviso si torna a giocare insieme. Essere messi fuori dal gioco non è mai considerata una colpa irrimediabile, un'umiliazione: è come nell'hokey, una regola chiara da subito.

In classe è un'altra cosa. Praticamente non capita mai di dover arrivare a mandare fuori dall'aula qualcuno. Alle medie talvolta, per sedare situazioni troppo rumorose, si invita il più esagitato ad andare in bagno a rinfrescarsi (cosa che si suggerisce anche all'alunno bollito e perduto all'ufficio complicazioni affari semplici), ma niente di più, anche perché spesso chi si vuole contenere ci tiene ad uscire dall'aula.
Alle elementari mi è capitato quest'anno in due occasioni. Davvero limite. La prima è un alunno di quarta che minaccia di dare un calcio ad un bambino di prima perché questo faceva rumore: le minacce da bulletto sono intollerabili: fuori dall'aula. Dopo pochi secondi sono uscito anch'io, per parlare con il bambino. Gli ho fatto capire la gravità dell'accaduto (non una semplice lite, non un semplice diverbio, non una cosa da bambini, tutti atteggiamenti comprensibili e compresi) e il fatto che essere in quarta significa essere tra i grandi: le reazioni non sono comparabili alle reazioni dei bambini di 6-7 anni. Lui ci è rimasto male ad essere mandato fuori, ma il discorso che ne è nato, affrontato in tono adulto e pacato, ha sortito dei buoni effetti. Al rientro in aula ne abbiamo discusso anche con gli altri di quarta e quinta e da allora se qualche bambino più piccolo fa confusione viene trattato da bambino piccolo, per cui non attaccato e non preso in giro; un po' come il maestro fa con loro.
Il secondo caso è stato diverso; una bambina ha ritenuto che un'altra bambina (classe insieme, quarta) gli avesse sottratto qualcosa, allora le ha urlato in faccia "ladra, zingara". Di scatto, a voce alta l'ho mandata fuori, mi è uscito spontaneo. Lei si è bloccata ed è uscita, in classe si è fatto silenzio. Dopo poco sono uscito, e molto deciso le ho detto che certe parole utilizzate in questa maniera non sono assolutamente tollerabili. Mi ha detto che era uno scherzo tra amiche, le ho detto che queste non sono parole per scherzare, ma per offendere amica e popolo. Per cui non posso accettarle in classe: chi ha questo linguaggio resta fuori. Poi l'ho fatta rientrare, mi è sembrata scossa per qualche tempo, infine il rapporto è tornato tranquillo, la mia gentilezza nei suoi confronti non è cambiata di una virgola, spero di averle fatto capire qual'era il motivo profondo del mio agire e che con lei non ho niente.

Per concludere e tirare le somme; due sono le cose che tra bambini non tollero (tutto il resto, dal litigio all'insulto, dalla rabbia al pianto mi sembrano reazioni naturali, da gestire con moderazione, ma senza impedire a prescindere): il bullismo e il razzismo. Queste sono le due cose che possono farti escludere dal gruppo. Forse ce ne sarebbe una terza, che magari in altri paesi è niente tollerata: la furbizia (copiare compiti, mentire); cerco di essere molto duro anche su questo punto, ma bullismo e razzismo restano ampiamente i primi due atteggiamenti che possono escluderti. Sono bambini per cui si spiega bene cosa significa comportarsi e parlare agli altri, ma il limite credo vada messo e si deve far capire che oltre quello il dialogo si interrompe.

Stefano.

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