venerdì 11 maggio 2012

Uno e tanti - 2

Come procede il lavoro? Come previsto il bambino e il gruppetto non sono diventati tutti amici. Ma l'atteggiamento tra loro è cambiato. Riescono a fare i compiti allo stesso tavolo non solo senza darsi vicendevolmente fastidio, ma talvolta persino interagendo civilmente tra loro.

L'interesse del bambino verso il gruppetto è diminuito. Poi c'è l'imprevisto. Con un bambino del gruppetto, il giorno che si è deciso di mettere fine al circolo vizioso, ho fatto un discorso riguardo il vendicarsi; le sue parole sono state: a me non piace vendicarmi, ma se a uno dici le cose mille volte e non le capisce allora l'unica soluzione è vendicarsi. Non sto meglio, ma almeno mi sono vendicato. Tra i due bambini, durante gli ultimi giorni, è scoppiata un'intesa davvero piacevole: e fa niente se questa intesa li porta a fare meno compiti: in questa situazione il compito per casa è sceso in secondo piano. Un giorno ho fatto notare al bambino vendicativo che stava ridendo e scherzando con E.: lui mi ha sorriso con il suo miglior furbo-sorriso.

Il lavoro è stato, infatti, impostato per confutare la sua affermazione sulla impossibilità di convivenza. Scopo non era, come detto, di farli diventare tutti amici, ma di creare un precedente di civiltà al quale rifarsi ogni qualvolta dicono/credono di non poterlo attuare. Una sorta di "ricordate che questo è stato" declinato però in positivo.

Siamo partiti dal calcio. Un gioco che praticano durante l'ora di gioco libero, al quale noi operatori partecipiamo e tramite il quale cerchiamo di far passare la bellezza del gioco (e delle sue regole) contro la necessità smodata di vincere (per esempio non dire che la palla ha preso il palo se è entrata...). E' anche un'attività alla quale tengono particolarmente (hanno le squadre, si tengono in mente la classifica, fanno lo scambio giocatori...), per cui adatta a esperimenti estremi di convivenza.
Il primo giorno dell'esperimento la partita è stata tesissima: tutti sapevano che non era una partita normale. Alla fine chi ha perso (la squadra del bambino E) è scoppiato in un pianto fragoroso. Essendo in squadra con me è stato naturale consolarlo come si fa tra compagni di squadra, la cosa bella è stata che nel dopopartita, sudati sulle scale, si sono scambiati una stretta di mano, si sono fatti i complimenti, hanno discusso su come si può migliorare (io è da tre anni che mi alleno, io sono solo pochi mesi, è per questo che...) e per due minuti sembrava di vederli tutti amici.

Sono stati due minuti, ma sono rimasti impressi dentro, perché dopo questa partita (a cui sono seguite altre attività per farli stare insieme senza che si beccassero), il rapporto è sensibilmente cambiato. Persistono tensioni, inimicizie, antipatie, simpatie, insomma: sono sempre bambini. Ma hanno smollato fuori la tensione negativa.

Stefano.

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